Recensione di Valeria Ottolenghi per La Gazzetta di Parma

14 luglio 2013

Il dramma del lavoro e il pulsare dei pensieri all'ilva di Taranto

Uno spettacolo di rara perfezione, astratto e concreto nello stesso tempo, in grado, nell’apparente semplicità drammaturgica – poche frasi, spesso ripetute – di trasmettere forza e dolore, fatica e disperazione, il corpo in scena agito, esposto in una concentrazione acrobatica capace di far percepire tensioni fisiche ed emotive, il ritmo del lavoro e il pulsare dei pensieri, per la situazione reale dell’Ilva di Taranto, per lo sforzo di una quotidianità senza speranza che va oltre ogni confine. Davvero straordinario lo spettacolo – accurato, rigoroso sotto ogni aspetto – degli Instabili Vaganti, compagnia che ci si ripromette ora di seguire con continuità, perché «L’eremita contemporaneo. Made in Ilva» nasce da uno studio, un impegno certo coltivati con estrema tenacia e meravigliosa intelligenza teatrale, capace di assorbire, rimettere in gioco, molti degli insegnamenti del teatro del novecento, a partire dalle stesse avanguardie storiche, eccezionale Nicola Pianzola in scena, una fisicità funambolica, travolgente, ma bravissima anche Anna Dora Dorno, che, autrice della regia, crea speciali atmosfere con la voce, tra narrazione e canto, nel creare echi e riflessi alle parole dell’attore, amplificando quello speciale sentire che è cupo grumo di pena, ore e giorni privi di prospettive, facile morire in quella fabbrica, una verità che tutti sanno ma di cui pure si deve tacere. La drammaturgia si compone di parole raccolte tra gli stessi operai di Taranto, ma «L’eremita contemporaneo» – visto al Festival di Resistenza presso l’Istituto Cervi – riesce, in questo continuo fluire di azioni dentro/fuori quella sorta di scala/gabbia di ferro mossa in infiniti modi, perfetta la fusione con la musica, le immagini proiettate a terra, le luci di sapiente bellezza ed efficacia, ad acquisire valore universale: non a caso la compagnia, pur di giovane formazione, è stata ospite un po’ ovunque nel mondo. Gli spettatori seduti anche sul palcoscenico, l’azione a terra, altre sedie disposte a semicerchio, l’attore molto vicino nel compiere volteggi, intensi passaggi fisici con quel trespolo che pare caricarsi della stessa mobile scioltezza di Pianzola tra momenti di contrazioni muscolari, fitte, tormenti: in contraddizione con quella voce dolce che racconta all’inizio «c’era una volta… ». E così in chiusura, parole che si accavallano con la pubblicità orgogliosa dell’acciaio italiano nel mondo… Molti anche i momenti di commozione – e lunghissimi, ripetuti, colmi di ammirata sorpresa gli applausi al termine, per uno spettacolo che non si potrà certo dimenticare.