Intervista di Marcello Tosi per Corriere Romagna

30 Settembre 2021

Teatro della realtà per trasformare i confini in punti di unione.

Appunti testuali, note visive, partiture fisiche e musicali, conversazioni in zoom e scene di vita quotidiana, elementi che si svolgono dal vivo e in video, costituiranno i frammenti drammaturgici di un’opera variegata, multiculturale e in più lingue. Frammenti che dal buio della scena si aprono al mondo, in cerca di un unico spiraglio, quella finestra virtuale che ha caratterizzato le relazioni personali di ognuno di noi durante il lockdown. [..]

In che maniera questa conferenza-spettacolo illustrerà in modo performativo la nascita del progetto internazionale “Beyond borders”?
Il progetto è nato durante il primo lockdown, sviluppando collaborazioni a distanza con artisti da ogni parte del mondo e interagendo con loro attraverso il video. Questo nostro spettacolo mette in scena alcune delle azioni performative che esprimono l’essenza del lavoro svolto in video ma anche il suo procedimento: le lunghe conversazioni via zoom, le problematiche create dalla pandemia, i nostri dubbi e le nostre paure sia come essere umani che come artisti. Vogliamo mostrare non solo i risultati raggiunti ma anche il cammino percorso assieme a tutti gli artisti che, assieme a noi hanno sposato questo progetto.

Come indagherete e approfondirete il concetto di “confine” come opportunità di incontro e di condivisione?
Non abbiamo mai visto i confini come degli ostacoli ma come dei punti di unione, di prossimità tra culture e questo anche prima della pandemia, quando eravamo abituati a viaggiare. In un momento di chiusura totale delle frontiere, la nostra reazione è stata quella di contattare tutti gli artisti che negli anni ci hanno accompagnati. Volevamo non sentirci soli ma, al contrario, lavorare insieme immaginando “nuovi mondi”, nuove metodologie, sistemi di pensiero e, perché no, anche un nuovo teatro capace di creare “Eutopie”, luoghi buoni in cui si realizzano le utopie. Luoghi in cui i confini servono solo a proteggere e non a separare, a unire e non a dividere.

Perché viene quindi da voi definito un esempio di “teatro della realtà”, cioè un’opera capace di far dialogare i nuovi linguaggi multimediali con quelli della scena?
Questa definizione l’abbiamo rubata ad Anna Maria Monteverdi [..] che vedendo un primo studio di questo lavoro lo ha incluso all’interno di questa definizione, dentro la quale sentiamo che lo spettacolo effettivamente può essere incluso. La drammaturgia del testo e dell’immagine sono state create proprio per raccontare una nostra esperienza di vita ma, al contempo, anche quella degli artisti dei differenti Paesi che ci hanno accompagnati in questo percorso e, infine, di tutti noi che abbiamo vissuto in parte la stessa esperienza, quella del lockdown e delle restrizioni dovute alla pandemia globale. Possiamo dire che lo spettacolo vuole restituire una memoria globale condivisa di questo periodo storico.