Recensione di Marta Ragusa – Succo Acido Magazine

10 Aprile 2012

[…] Nell’epoca in cui le fabbriche chiudono e il mestiere di operaio sembra estinguersi o, comunque, perdere l’alone di tragicità e mito che aveva fino a qualche anno fa, sembra anacronistico ritrovarsi ad assistere a un lavoro come questo. Su una scena spoglia e scura si staglia solo una scaletta di ferro appoggiata su una fabbrica proiettata in video bianco e nero. E un operaio, succube dei tempi incalzanti della catena di montaggio, protagonista di una vita non sua, di un tempo scandito da ore che non gli appartengono. E invece, L’eremita contemporaneo, nato dal progetto internazionale LENZ e parte integrante di un nuovo progetto (Running in the fabrik) avviato dalla compagnia nel 2008, racconta una storia che potremmo definire universale e sempiterna: l’alienazione e la solitudine forzata non sono un’esclusiva delle fabbriche, le condizioni disumane in cui lavorano gli operai dell’Ilva di Taranto, realtà dalla quale Instabili Vaganti ha voluto prendere spunto (anche per la vicinanza biografica tra Anna Dora Dorno e l’impianto siderurgico pugliese), possono estendersi e metaforicamente abbracciare tutte quelle vite che perdono il controllo di se stesse continuando così a garantire il funzionamento del sistema. Il pericolo di lasciarsi inghiottire è sempre attuale, fuori e dentro la fabbrica. L’eremita solitario è l’emblema di questo processo, i suoi gesti sono ripetuti decine di volte, fino all’estremo. È uno schizofrenico (come Jakob Michael Reinhold Lenz, al quale Instabili Vaganti ha già dedicato un progetto da cui poi è nato questo di Running in the fabrik). Il suo agire, il suo parlare riproducono inevitabilmente i ritmi della fabbrica e da quella ripetitività, brutale meccanizzazione, viene fuori un uomo che ha perso il contatto con se stesso, che si tocca affannosamente la faccia e non si riconosce più. “Corri, lavora, agisci, produci, crea”: il mantra dell’eremita odierno che si trasforma sulla scena in canto, sempre più affannoso. Il corpo dell’uomo operaio è quello di Nicola Pianzola, protagonista della scena, e il canto è quello di Anna Dora Dorno che, insieme alle musiche eseguite dal giovanissimo compositore Andrea Vanzo, ora asseconda i ritmi della fabbrica guidando il protagonista verso la sua progressiva spersonalizzazione, ora dolcemente sembra suggerire tempi diversi, immagini più luminose, mondate di tutto il grasso e il sudore. Sono i momenti in cui l’illusione è massima, quelli in cui l’eremita, in un guizzo improvviso di umanità, si scopre capace di sognare, ed è quasi un ritorno alla materia viva, pulsante, alla sensazione di corpo nuovo e pulito. È centrale qui il contrasto tra movimento inorganico, disanimato, alienato ed alienante e la materia organica, viva di cui l’uomo è composto, nonostante i continui attentati della contemporaneità di ogni tempo […]